* Commento all’Atto di indirizzo MIUR 15.5.2018
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Di seguito, alcune brevi considerazioni sull’Atto di Indirizzo MIUR del 14 maggio scorso, a cura degli Avv.ti Francesco Arecco e Lucia Bitto.
Il documento ribadisce quanto aveva già segnalato l’ANAC a novembre dell’anno scorso, vale a dire che il quadro normativo è stratificato e di difficile interpretazione. La circolare in esame, tra l’altro, contribuisce a rendere ancor più complicata l’operazione ermeneutica affermando che l’attività di consulenza permessa ai Professori, sarebbe solo quella occasionale (natura che la norma primaria non indica) aprendo, così, la strada a interpretazioni che si discostano dal dato normativo e che possono condurre a esiti paradossali.
In dettaglio, secondo il documento, la consulenza è occasionale (e, quindi, “lecita”), se:
– non è abituale ma saltuaria. In assenza di criteri precisi questo diventa un parametro lasciato completamente all’arbitrio del “giudicante”;
– non è caratterizzata da attività tipicamente riconducibili alle figure professionali di riferimento. Se l’Atto avesse solo menzionato “le attività non riservate agli iscritti a un albo”, il concetto sarebbe stato immediatamente intellegibile, giacché è noto quali siano queste attività (ad esempio, quella forense, la progettazione per gli ingegneri etc.); ma l’aggiunta “tipicamente riconducibili” lascia ancora una volta a chi giudica la libertà di scegliere cosa individuare come tipico;
– è una prestazione resa in qualità di esperto della materia, in quanto studioso della relativa disciplina e mediante applicazione dei risultati conseguiti con i propri studi, nelle tematiche connesse al proprio ambito disciplinare, riconducibile tipicamente al settore concorsuale di appartenenza. È un criterio che ne introduce ben altri cinque, alcuni dei quali… diabolici. Ad esempio, la prestazione non sarà considerata occasionale se il professore non avrà utilizzato come elemento fondamentale della propria consulenza un risultato consegnato a una pubblicazione (o a un’attività di ricerca attiva e concreta). Inoltre sarà facile contestare a chi venga chiamato a fare consulenze innovative o in campi non oggetto di specifico ambito disciplinare il fatto che costui non sia un vero e proprio esperto della materia (anche per il semplice fatto che in alcuni casi la materia può non esistere). Il che fa sorgere il dubbio che si possa essere in presenza di barriere all’accesso al mercato;
– è conclusa mediante un parere, una relazione o uno studio. Molte consulenze non si concludono in un documento scritto. Ad esempio l’attività del CTP, sovente, non necessita di alcuno scritto. Si pensi anche alla consulenza strategica e al professore che apporti un consiglio puntuale ma reso solo in forma orale. Ma anche il “parere” citato dall’atto di indirizzo come necessariamente scritto, nella prassi viene comunemente reso anche solo verbalmente: del resto, la forma scritta non è un requisito di validità del parere.
Sono inoltre assai farraginosi (e già si possono immaginare complicazioni e abusi) i meccanismi (pagg. 23 e 24), tesi a verificare solo a posteriori la correttezza delle comunicazioni relative all’attività di consulenza: verifiche fatte sul semestre precedente e verifiche fatte ogni trimestre su coloro che operano in regime IVA.
L’Atto ha infine valore di semplice circolare che, nella gerarchia delle fonti normative, è subordinata ai regolamenti (ad esempio, certi tipi di decreti ministeriali), i quali a loro volta sono subordinati agli atti avente valore di legge (leggi, decreti legge e decreti legislativi), questi ultimi subordinati alla Costituzione (per citare solo le fonti interne). Nel perseguire i comportamenti ritenuti scorretti è purtroppo probabile che il Giudice contabile valorizzi l’impostazione fatta propria dall’Atto di indirizzo.
Ecco allora che questa eventualità conferma la necessità dell’azione che stiamo conducendo con il gruppo di lavoro INDUI, volta a un chiarimento a un livello più elevato: quello legislativo. Un chiarimento che valga per il futuro e, per quanto possibile, per il pregresso. Senza che ciò costituisca sanatoria, occorre infatti esplicitare il valore della Riforma Gelmini, con un provvedimento normativo di interpretazione autentica, e indicare le ragioni in base a cui bisogna evitare che le Corti dei conti, basandosi su interpretazioni sempre diverse del quadro normativo attuale, condannino la maggior parte dei Professori a tempo pieno che hanno svolto attività esterna. Tutto ciò per dare un quadro chiaro e coerente al futuro dell’Università.